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Paola Turci. Tra i fuochi in mezzo al cielo.

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2006 16:02
14/10/2005 15:17
 
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"Porgimi un dito...". Ordine eseguito. Con delicatezza, Paola Turci poggia all'estremità del polpastrello la testa di una libellula di legno. E' l'unico appiglio, il resto, ali spiegate comprese, oscilla nel vuoto, ma non piomba al suolo. Non è magia, solo un gioco di contrappesi. Ma a Paola piace tanto osservare gli occhi sgranati di fronte al "miracolo" degli ospiti intervenuti alla Casa del Jazz per la presentazione del nuovo album Tra i fuochi in mezzo al cielo, da oggi nei negozi.

Quella libellula giunge dal Vietnam del Nord, dove la cantautrice è stata per due settimane assieme all'organizzazione non governativa Ucodep. "Hanoi mi era sembrata un inferno - racconta Paola -, ma quando ho visto le condizioni di vita, igieniche e di lavoro, della gente che vive nelle campagne, la città mi è sembrata addirittura vivibile...".

A novembre, quando partirà il suo tour teatrale, Paola porterà con sè altri oggetti d'artigianato vietnamita. Il suo pubblico potrà acquistarli e il denaro servirà a finanziare progetti idrici nel Nord Vietnam. Per l'artista, un modo diverso di impegnarsi, andando con leggerezza oltre la semplice stampigliatura di un numero di conto corrente sulla copertina di Tra gli occhi in mezzo al cielo. Una leggerezza che in alcuni momenti si ritrova nella musica del nuovo album. Il contrappeso, in questo caso, è il gravoso fardello spirituale ed esistenziale racchiuso nei testi delle nuove canzoni.

Paola ne parla in modo approfondito nella videointervista che correda le immagini dello showcase. In breve, è ormai un ricordo l'approccio tutto rock del precedente All'ombra del gigante, con basso chitarra e batteria registrati in presa diretta. Il nuovo album è frutto di una produzione accurata, tanto lavoro in studio con Carlo Ugo Rossi alla ricerca di una nuova formula. Il risultato è un sostrato di dolcezza e intimità su cui la potenza franerebbe miseramente. La ritmica è ricamata, meno protagonista ma anche meno scontata. E tra i "solchi" si fa più volte largo la voce di un pianoforte a iniettare emozione in quella di Paola.

Nei testi, risalta presto l'anelito spirituale di una cantautrice nota per la sua "attinenza ai fatti", alla storia, alla verità. Un'ammissione di incertezza e fragilità che viaggia tra i versi di una preghiera come Stai qui, il dubbio vince in Quasi settembre, a proposito della quale Paola dice: "Tempo fa feci un corso di recitazione. Imparai a entrare completamente in un'altra persona, a vivere le sue sensazioni. Ricordando quell'esperienza, ho provato a immedesimarmi in una persona prossima alla morte. E io, convinta da sempre del dogma buddista della reincarnazione, ho sentito in me la contraddizione tra l'antica certezza e quanto in realtà stavo provando. Ho sentito il bisogno di un altro riferimento, il bisogno di Dio...".

Come un'appendice, Lasciami credere racconta il dolore inestinguibile di un figlio per la perdita del padre. "E' la storia di un mio amico - racconta Paola -. Era così legato al papà che dopo la sua morte ha continuato a sognarlo, a parlargli, tutte le notti, sempre...". Paola fa dunque suo anche questo bisogno di credere che le persone care non scompaiano per sempre, che resti qualcosa. O almeno illudersi che sia così.

Si cambia pagina e Paola racconta storie di donne violate. In Fiore di giardino la bambina vittima di abusi sessuali diventa adulta e osserva passeggiare il suo invecchiato aguzzino, aspettando la sua "agonia". Un messaggio duro come le immagini evocate dalle parole: desiderio di vendetta, un "dente per dente" che Paola ha voluto urlare liberandolo dall'ipocrisia buonista di chi non accetta l'impossibilità del perdono per il peccato "più crudele".

Troppo occidentale è invece ispirata a una vicenda vera così inaccettabile che la Turci ha scelto di cambiarne il finale. Berlino, una donna e madre turca di 22 anni viene uccisa dal fratello perché, appunto, "troppo occidentale" rispetto alla sua interpretazione del dettato coranico. Paola cancella il sangue e lascia spazio alla ribellione e all'orgoglio di donna, additando la strumentalizzazione che si fa della religione per indurre la gente a chinare il capo.

Giochi di memoria. Non dimenticare il bello di una storia (Come eravamo), rimuovere almeno per un attimo ogni pressione, frustrazione, sentimento d'impotenza dettato dalla realtà (Dimentichiamo tutto, il singolo). Memoria è anche non dimenticare che il mondo non finisce dietro l'angolo di casa, che la realtà è costellata di "fuochi in mezzo al cielo".

L'asprezza delle cronache dal Pianeta Terra si dissolve in chiusura con un verso di Leo Ferrè: "Io vedo il mondo come qualcosa di incredibile/ l'incredibile è ciò che non si può vedere...". Paola propone una sua versione di Tu non dici mai niente e vede un "varco" guardando con gli occhi dell'anarchico poeta e chansonnier: "E' l'arte, che ti permette di raccontare ciò che nessuno dice, che nessuno vede, di sognare una vita diversa, un mondo diverso...".

L'arte, capace di drenare umanità anche dalla storia disumana della più sanguinaria faida etnica attuata nel cuore dell'Africa. Al cinema con Hotel Rwanda, in musica con Paola Turci in un brano di alta drammaticità sonora.

Paola gioca ancora con la sua libellula quando si avvicina una ragazza dai capelli ricci e rossi, l'espressione timida, dolce e furba allo stesso tempo. Impossibile non riconoscerla e adesso tocca a Paola sgranare gli occhi: è Marie Cecile Ferrè, figlia di Leo, giunta alla Casa del Jazz per "riascoltare" le parole di un altro padre, perso in mezzo al cielo.

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