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Il documento del Vaticano sui preti e l’omosessualità? «Bene». Lo dicono in coro vescovo, teologo e parroco. Ma subito aggiungono: «Da noi non è come negli Stati Uniti»
La chiesa anglicana
ROMA - Il documento del Vaticano sui preti e l’omosessualità? «Bene». Lo dicono in coro vescovo, teologo e parroco. Ma subito aggiungono: «Da noi non è come negli Stati Uniti». «Diversa» cultura, ma anche «diversa» formazione. Non lo dicono apertamente. Ma pensano che sia «migliore». Piacciono le anticipazioni dell’«istruzione» di 16 pagine che dovrebbe uscire a novembre, firmata dal cardinale Zenon Grocholewski, il prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica da cui dipendono i seminari. Concordano con la necessità di esaminare con attenzione i candidati al sacerdozio, compresi quei tre anni di castità che verrebbero imposti a chi ha manifestato tendenze omosessuali. Parola d’ordine: fermezza, ma al tempo stesso «discernimento». Perché se è «facile» condannare i rapporti gay, «è più difficile» dare risposte tagliate con l’accetta di fronte all’attrazione verso la «cultura omosessuale».
«NON GIUDICARE» - A monsignor Giuseppe Anfossi non piace l’espressione «giro di vite». Il vescovo di Aosta, membro della commissione episcopale per la famiglia, preferisce parlare del «bisogno» di un «controllo della personalità» da effettuare nei seminari: «Il futuro prete deve essere una persona matura ed equilibrata. E la sua vita deve essere casta. È vero, si può sbagliare, ma non ogni giorno per poi chiedere perdono come se niente fosse». Comunque sia, secondo Anfossi, «in Italia la tradizione è diversa rispetto a quella degli Stati Uniti: c’è più severità».
Altro discorso è quello che riguarda l’omosessualità in generale: «Spesso il problema emerge parlando con gli adolescenti. Bisogna aiutarli a crescere. Nella nostra società invece la cultura dominante è centrata sull’adulto, sui suoi bisogni e basta». Ma una cosa è certa per Anfossi: «Noi ascoltiamo sempre le persone. Con grandissimo rispetto e senza giudicarle».
MATURITA’ - Concorda don Mauro Cozzoli: «Per la Chiesa un omosessuale è una persona come le altre e, se cristiano, ha diritto a tutti i sacramenti». Il problema nasce dagli «atti omosessuali». Che sono condannati, spiega il professore di teologia morale alla Lateranense, «a maggior ragione» quando si tratta di sacerdoti: «La Chiesa impone celibato e castità, quindi è contraria sia agli atti eterosessuali che a quelli omosessuali. Chiede a preti e religiose una maturità umana e affettiva». Ben venga quindi un periodo di «riflessione», magari i tre anni del documento vaticano: «È giusto che si entri nei dettagli con un testo scritto». Ma, aggiunge Cozzoli, occorre anche prudenza: «Occorre sconsigliare la via che porta al sacerdozio a chi manifesta apertamente un’attrazione verso la cultura omosessuale. Ma in seminario entrano giovani di tutti i tipi e a volte siamo di fronte a semplici casi di "omofilia" che può essere convertita».
Cultura omosessuale? Per Don Silvio Petrucci, parroco di San Giovanni Bosco, a Roma, non esiste il problema: «Siamo uno dei più grandi oratori della capitale e ogni anno passano da noi migliaia di giovani: se si dovesse manifestare un solo caso del genere tra il nostro clero dovremmo chiudere la baracca». E il contatto quotidiano con i parrocchiani? «Insegna che la realtà non è cambiata rispetto al passato. Solo che ora la gente ha più coraggio di parlarne. Noi, come sempre, cerchiamo di aiutare».
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