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La Cina gay

Ultimo Aggiornamento: 16/08/2005 20:56
16/08/2005 20:56
 
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La società cinese (quasi un miliardo e mezzo di persone!) ha da millenni il suo centro nella famiglia, e considera il matrimonio un obbligo sociale. Un’identità “gay” risulta quindi particolarmente estranea, aliena. Ma fra la minoranza (200 milioni!) di cinesi che beneficia del nuovo benessere, il collegamento col resto del mondo e le sue idee, via internet, è ormai la regola. Ecco una riflessione sulla condizione gay in un paese in bilico fra passato e futuro.



La vita degli omosessuali nella Cina di oggi è una materia difficile da indagare. Poco è stato scritto o semplicemente detto riguardo ai suoi cittadini omosessuali, e poco è trapelato al di fuori della Cina; a noi, da lontano, resta l’idea di una condizione difficile, alle volte tragica, di una legislazione insufficiente o maldisposta, di una cultura generalmente avversa o poco abituata all’esistenza di gay e lesbiche.

Eppure non è vero, d’altro canto, che non si sia detto o scritto niente. A partire dagli anni ottanta, accenni o riferimenti all’esistenza dell’omosessualità sono stati fatti da alcuni scrittori, noti in Cina come fuori dal territorio nazionale: meno di dieci anni separano i timidi e ambigui rimandi in Mogli e concubine al riferimento più esplicito in Spiriti senza pace, entrambi opera di Su Tong. Una scrittrice cinese contemporanea, Shan Sa, espatriata in Francia dopo il massacro di piazza Tian’anmen, descrive senza mezzi termini i rapporti saffici così usuali alla corte della famosa imperatrice Wu Zetian.

Risale agli anni novanta il tentativo più completo e sociologicamente coerente di compiere un’analisi sulla condizione di gay e lesbiche in Cina, ad opera della studiosa Li Yinhe, giustamente considerata una pioniera, e famosa presso la comunità cinese glbt. Non solo la signora Li ha sfidato e scavalcato le resistenze della classe politica per la pubblicazione del suo saggio, ma ha anche osato rivolgersi direttamente al massimo organo legislativo della Repubblica popolare, l’Assemblea nazionale popolare, nel 2001 e poi, nel 2004, per proporre la “Legalizzazione del matrimonio cinese omosessuale” e la “Proposta di legge per il matrimonio omosessuale cinese”. è stata la prima volta, nella storia della Cina, che veniva discussa la questione dei diritti degli omosessuali in sede istituzionale. Sfortunatamente (ma comprensibilmente) la signora Li non è riuscita a raccogliere le 35 firme dei delegati dell’Anp necessarie alla discussione della proposta di legge...

Evidentemente, l’immagine che ricaviamo da queste notizie (il saggio e la proposta di legge della signora Li) ci testimonia una condizione omosessuale in fase di trasformazione, forse di miglioramento, ma dai balzi incostanti: poco prima che la signora Li osasse parlare di matrimonio omosessuale, le campagne contro l’Aids promosse dal governo mettevano in cattiva luce il comportamento omosessuale come diffusore del virus. D’altronde una certa dose di incoerenza pare essere specifica di questi ultimi ventisette anni di politica in Cina, da quando, alla fine della “rivoluzione culturale”, l’avvento di Deng Xiaoping ha significato un’apertura della Cina al mondo, agli investimenti stranieri, un miglioramento delle condizioni economiche e di vita per milioni di persone, ma anche il massacro di Piazza Tian’anmen.

A un livello teorico, dobbiamo ammettere che la cultura tradizionale cinese non è strettamente omofobica. Parlando dell’omosessualità, nessuna delle scuole religiose o filosofiche che si sono contese il primato sullo spirito cinese ha mai usato il termine “peccato”, o accusato storture delle tendenze naturali.

Ad esempio, il confucianesimo, che è alla base della cultura politica ed etica in Cina, metteva alla base della società il matrimonio eterosessuale, che costituiva, in pratica, un obbligo per ogni cinese adulto; tuttavia, all’interno di questo ambito, chiunque poteva, in teoria, permettersi passioni omosessuali (cosa peraltro piuttosto frequente e citata nella letteratura classica) purché questo costituisse solo un passatempo e non inficiasse il funzionamento della complessa vita familiare cinese. Il taoismo (che è in parte filosofia e in parte religione), che tanto ha influenzato l’estetica cinese, invitava l’uomo ad aderire alla propria natura, armonizzandosi alle proprie inclinazioni, mentre il buddismo, arrivato dall’India all’incirca nel IV secolo d.C., guarda con sospetto la sessualità in generale, senza considerarne troppo specificamente la direzione.

è anche vero che, benché non ci siano mai state condanne morali di portata simile a quella che troviamo in tutti i paesi di cultura cristiano-giudaica e mussulmana, si guardava comunque con sospetto a una tendenza sessuale che non aveva alcuna utilità sociale, che non produceva la forma di ricchezza principale, anzi ossessione, per la cultura cinese, cioè la discendenza. O che, essendo minoritaria, metteva in allarme un mondo che in genere trovava piuttosto problematiche le deviazioni dalla norma collettiva.

La nascita della Repubblica popolare non ha migliorato la situazione. La nuova e rigorosa “morale rivoluzionaria”, mutuata dallo stalinismo, vedeva assai negativamente l’omosessualità, come specifica “deviazione borghese”, e per decenni ha affogato la libertà sessuale sotto la cortina di un puritanesimo che cancellasse ogni differenza di genere o di orientamento. Durante la “rivoluzione culturale”, poi, le persone omosessuali erano vittime delle torture, dei pestaggi e delle uccisioni ad opera delle Guardie rosse e dei vari gruppi ribelli.

La situazione, oggi, è, in realtà, sia ambigua che scoraggiante. Dopo la depenalizzazione della sodomia, nel 1997, non esiste in Cina una legge discriminatoria nei confronti degli omosessuali, ma nemmeno una qualche legge che ne tuteli i diritti. Il governo agisce, riguardo alla questione, secondo la teoria dei “tre non”: non approvare, non disapprovare, non promuovere”. In pratica, però, una qualunque autorità può attuare ritorsioni contro un cittadino cinese omosessuale, o retate nei principali luoghi di ritrovo, arrestare e imprigionare gay o lesbiche, anche se questo non viene giustificato come “repressione” dell’omosessualità, ma fatto ricadere sotto altre diciture, come, ad esempio, repressione di atti di “hooliganismo” oppure di atti che “disturbano la quiete pubblica”.

In questo clima discriminatorio, due lesbiche sono state arrestate nel 1992 nella provincia dell’Anhui e costrette dalle autorità a cessare la loro normale vita di coppia; nel 2000 una corte di Pechino ha definito apertamente l’omosessualità “anormale e inaccettabile”, mentre nella provincia del Guangdong almeno 37 omosessuali sono stati arrestati e reclusi nel 2001.

D’altro canto, se fino a tempi recentissimi molti istituti di igiene mentale comminavano forti dosi di elettroshock alle persone omosessuali, per guarirle, nell’aprile del 2001 l’omosessualità è stata espunta dall’elenco delle malattie mentali ad uso della classe medica e psichiatrica cinese.

Molto conta il fatto che non esista in Cina una vera e propria tradizione di associazionismo gaylesbico, situazione che ha ragioni molteplici: da un lato abbiamo il controllo esercitato dal governo, dall’altro la tendenza culturale a vivere l’omosessualità come “pratica privata”, non alternativa al matrimonio eterosessuale, quindi a un mancato riconoscimento di una diversità costitutiva di una precisa identità sociale. L’influenza della morale confuciana classica per cui “le ossa rotte della mano si nascondono nella manica” marchia la vita omosessuale, la costringe all’anonimato e all’ombra. In una società in cui la famiglia patriarcale non solo è la base socio-economica, ma anche il modello cui si ispira il governo, è difficile l’affermazione di un’individualità non canonica in contrasto con lo status quo.

L’avvento di internet sta timidamente cambiando la situazione, pur sotto le restrizioni ufficiali: la Cina è il paese in cui la diffusione di internet ha registrato la maggiore impennata negli ultimi anni (la Cina è ormai, dopo gli Usa, il secondo paese al mondo per numero di utenti internet) e che coinvolge in maniera più specifica un pubblico di giovani, di studenti, di cultura medio alta, tra cui la sensibilizzazione alla questione omosessuale può trovare maggiore accoglimento. In tutto il paese sono molti gli omosessuali che usano la Rete come mezzo per conoscersi, scambiarsi consigli, tecniche di sopravvivenza, ma anche condividere film a tematica omosessuale, che altrimenti non passerebbero la maglia della censura, e che trova opere come Lan Yu o pellicole provenienti da Hong Kong e Taiwan a tematica gay/lesbica (ad esempio Il fiume oppure Incrocio d’amore) “sconvenienti” e “diseducative”.

A partire dagli anni ’90, nelle maggiori città cinesi, come Pechino, Shanghai, Guangzhou e nei maggiori centri costieri, sono nati locali gay e lesbici, che si affiancano ai tradizionali luoghi di ritrovo o di incontro, come bagni pubblici o parchi; tutti luoghi che sono sottoposti, periodicamente, alle retate e ai controlli degli organi di polizia.

Con grande difficoltà e un enorme carico di pregiudizi è stata affrontata la questione dell’Aids. Nel 1992 a Pechino è stata creata una hot line sull’Aids, quasi contemporaneamente all’apertura dei primi veri e propri locali gay nelle grandi città cinesi; tuttavia, già nel 1993, veniva chiusa, fondamentalmente perché si ravvisavano gli inizi di una vera e propria organizzazione per i diritti degli omosessuali.

Un’inchiesta condotta nell’anno 2000 mostra, però, che l’opinione pubblica cinese accetta con sempre meno difficoltà l’esistenza della diversità omosessuale; pur considerando il gap di mese in mese più profondo tra le campagne della Cina centrale, del tutto estranee al processo di apertura, e le città sulla costa, invece completamente trasformate dal processo di occidentalizzazione. Se, quindi, la vita di un omosessuale cinese, in una grande città in pieno processo di modernizzazione, può essere difficile e piena di ostacoli, ancora più problematica è quella di un omosessuale nato in una delle immense province centrali, dove, alla fine della rivoluzione culturale, le masse contadine hanno mostrato una fortissima tendenza a rifugiarsi nelle tradizioni.

In definitiva, la questione dell’omosessualità in Cina appare piuttosto oscura, anche se non statica. I prossimi anni saranno cruciali e non è improbabile che, per ragioni di convenienza politica ed economica, il governo di Pechino voglia associarsi ai suoi alleati occidentali e interrogarsi con sempre maggiore decisione su come affrontare la questione non solo dei diritti del popolo glbt ma, più in generale, dei diritti della persona, della libertà individuale e delle minoranze.

Difficile stabilire quanto occorra alla Cina per compiere il passo decisivo, ma la fretta pare essere una delle parole d’ordine del processo di modernizzazione: nell’arco di pochi anni, palazzi, vie, quasi intere città sono stati abbattuti per far spazio a nuovi palazzi, nuove vie, nuove città appetibili per gli investitori stranieri.

Le idee e le ideologie, alle volte, reggono più delle pietre.


[URL]La Cina gay[=URL]http://www.gaynews.it/view.php?ID=33577
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