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L'obiettore gay che sfida i militari turchi

Ultimo Aggiornamento: 30/07/2005 23:56
30/07/2005 23:56
 
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Per il movimento antimilitarista turco Mehmet Tahran è un simbolo. Dal 27 ottobre 2001, quando dichiarò pubblicamente ad Ankara il proprio totale rifiuto del servizio militare, gli obiettori di coscienza di tutto il paese fanno riferimento a lui. E per lui, nelle ultime settimane, centinaia di persone sono scese nelle strade a Istanbul, a Izmir, nella capitale, e davanti alle basi di Harbiye e Incirlik. Da tre mesi, infatti, Mehmet Tahran è rinchiuso nel carcere militare di Sivas, con l'accusa di «rifiuto di obbedire a un ordine con lo scopo di sottrarsi al servizio militare». La polizia lo ha arrestato lo scorso 8 aprile a Izmir, nel negozio di libri in cui lavorava, trasferendolo direttamente nel centro reclutamento di Tokat. Di fronte alla sua ostinata resistenza, le autorità hanno deciso l'arresto. E a Sivas Tahran è rimasto, in attesa di giudizio. Contro di lui le autorità turche hanno aperto un'inchiesta, sulla base dell'articolo 155 del codice penale turco: «provocare disaffezione verso il servizio militare». Di scarcerazione, però non si parla. Lo scorso 9 giugno infatti l'autorità giudiziaria aveva chiesto l'immediata liberazione di Tahran, ma i militari hanno ignorato la decisione, arrestandolo nuovamente. Per protestare contro le strette misure di detenzione l'obiettore di coscienza ha portato avanti uno sciopero della fame di 28 giorni, al termine del quale le autorità carcerarie hanno accolto alcune delle sue richieste, tra cui l'accesso alla tv e alla posta.



La colpa di Tahran è quella di aver sempre espresso apertamente il proprio rifiuto per il servizio militare, definendo «un crimine trasformare le persone in strumenti per uccidere, infilandoli in una divisa». Per di più Tahran non ha mai cercato scappatoie per sottrarsi alla chiamata alle armi (facendo ad esempio appello alla sua omosessualità che lo avrebbe escluso - per legge - dal servizio), ma ha preferito fare delle sue convinzioni pacifiste le parole d'ordine di una battaglia diffusa. Una presa di posizione particolarmente rischiosa in Turchia, un paese ancora profondamente intriso di cultura militarista e in cui l'esercito si considera (per diretta investitura costituzionale) garante della laicità, dell'unità e della democraticità nazionale. Nello stato kemalista - nonostante le riforme avviate negli ultimi anni - il servizio militare è tuttora obbligatorio e non esiste alcun riconoscimento legale per l'obiezione di coscienza. Chi rifiuta il servizio militare viene arrestato e imprigionato. Sommando gli appartenenti all'esercito, alla marina, all'aviazione e alla gendarmeria si arriva a circa 573mila unità, di cui 400mila costituite da militari di leva. Il budget destinato alla difesa ammonta al 13 per cento della spesa interna lorda. Nella sua storia, l'esercito turco ha rovesciato tre governi, sospeso tre parlamenti e imprigionato migliaia di civili, alcuni dei quali si trovano ancora in carcere. Ufficiali dell'esercito - denuncia Amnesty International nel suo rapporto sulla Turchia - presidiano tuttora i processi civili che si celebrano nei tribunali per la sicurezza dello stato.



Gli appelli del movimento anti-militarista turco, però, stanno lentamente facendo breccia nelle strette maglie del sistema politico e della società turca. Tahran non è solo. Prima di lui, un altro giovane turco, Mehmet Bal, abbandonò il servizio militare dichiarandosi obiettore di coscienza. Attorno a queste figure, negli ultimi anni, sono nate diverse organizzazioni e gruppi di sostegno, come Iniziativa antimilitarista di Istanbul (Iami) e Resistenti alla guerra di Izmir (Iskd), che hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione anche fuori dai confini turchi.


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