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Il tenente che diventò donna

Ultimo Aggiornamento: 26/09/2005 15:50
26/09/2005 15:50
 
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Alla morte del padre Bruno nel 2000, magistrato, primo procuratore generale antimafia che aveva indagato sulla P2 di Gelli, sulla banda Turatello e sul crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, Mario Siclari sente morire anche la sua vita al maschile. Alle esequie funebri le autorità la scansano, imbarazzati da quella folta chioma e ciechi al rispetto di ogni individuo. Oggi, lei, diventata Mara Siclari, 43 anni, responsabile dell'Ufficio Nuovi Diritti Cgil a Mestre, racconta come da tenente riservista avrebbe avuto diritto al grado di capitano. Ma l'esercito la caccia per "disforia di genere". Fanno di più: le diagnosticano un disturbo all'identità di genere nonostante i test psicometrici risultano normali. La storia di Mara è la storia di un'Italia bigotta, che non perdona agli omosessuali di essere tali figurarsi le transgender. La fatica di un Pacs insegna che altri problemi ancor più difficili, che riguardano libertà e diritti non solamente rivolti alle coppie di fatto in questo paese restano chimere se non peseranno tutte le nostre determinazioni e coraggio. Mara fa parte di questo determinato coraggio.

Mara, perché hai deciso di rendere pubblica la tua storia?

La questione principale è perché sono impegnata sindacalmente sul versante delle discriminazioni e dei diritti civili in generale. Credo e spero serva anche ad altre meno coraggiose di me.

Tu vieni da una famiglia con tuo padre Bruno, uomo di legge, primo procuratore antimafia. Quanto hanno pesato la tua sessualità e l'identità di genere nei rapporti famigliari?

Sulla mia sessualità pressoché zero; sulla mia identità di genere tantissimo. In famiglia non ho potuto essere me stessa, ho avuto più difficoltà di altre persone: avevo la scorta armata fuori di casa; io stessa ero ipercontrollata e di conseguenza anche la paura di danneggiare mio papà mi portava a non essere me stessa, a non fare ciò che desideravo per la mia vita.

Non sei mai riuscita a parlare con tua mamma, sorella o fratello?

No, in quel periodo nessuno sapeva nulla e non volevo creare problemi. Quando presi coraggio mia madre non lo disse a mio padre che lo seppe da me. Non la prese affatto bene".

Perché nonostante tutto hai cercato di intraprendere la carriera militare?

No, non era quello il mio intento. Ai tempi il servizio di leva era obbligatorio, a parte il fatto che io non sono mai stato omosessuale ma in quel periodo, nell'83 le cose erano diverse da oggi. Io temevo fortemente il nonnismo e l'unico sistema per evitarlo era entrare nell'esercito come ufficiale.

Come ti comportavi nei confronti dei militari subalterni e dei superiori?

Ero un bravo ufficiale, apprezzato.

Non sentivi estranea quella divisa, il militarismo?

Sono così dall'età preadolescenziale; anche allora il mio desiderio di cambiare sesso c'era ma era più forte la rassegnazione.

Com'era il mondo in divisa?

Allora quel mondo io lo vedevo dall'alto; ero un ufficiale e quindi per me era tutto relativo. Certo non era un gran bell'ambiente e non lo è neppure oggi da quello che mi raccontano persone che sono nell'esercito: c'è ancora molto machismo nonostante si siano aperti alle donne.

Quando hai deciso il cambio di genere?

Ho iniziato nel '98 perché era diventata insopportabile la vita nel ruolo che avevo assunto.

Nel 1986 hai sposato Silvia. Perché quel passo?

Credo che una cosa è l'orientamento sessuale, quindi l'omosessualità e un'altra cosa è l'identità di genere. Io non ho mai avuto storie se non due con due donne e Silvia l'ho sposata perché l'amavo, proprio come l'amo ancora oggi. Puoi anche aggiungere che rispetto agli omosessuali e alle lesbiche mi sento una privilegiata.

Privilegiata da cosa?

Perché al momento siamo due donne ancora sposate in barba al Pacs che ancora non vogliono approvare. Con Silvia c'è ancora amore, rispetto; è stata la prima ad aiutarmi e incoraggiarmi anche se non sapevamo entrambe cosa sarebbe successo dopo.

Oggi che dirigi l'Ufficio Nuovi Diritti Cgil, quali sono le discriminazioni più palesi verso le transessuali?

Vivo in una regione ancora parecchio bigotta, dove esiste una pseudo accettazione anche verso gay e lesbiche ma che in realtà rivela una situazione difficile anche per gli omosessuali. Ancor più difficile è la vita per le transessuali, perché non riescono a trovare lavoro, neppure il più umile. Il problema più grosso è il lavoro, poi non abbiamo un nome che in qualche maniera riesce a rappresentarci a meno di non ricorrere alla chirurgia e poi le transessuali devono pagarsi le cure ormonali, costose.

Vi è indifferenza da parte omosessuale alle battaglie transessuali?

Fortissimamente sì. A parole il mondo omosessuale è disponibile ma nella realtà ci sono pregiudizi e barriere, specia alla base, non tanto ai vertici, anche se questi ultimi dovrebbero, non dico imporre ma far comprendere l'importanza dell'accettazione di tutto il mondo glbt. Mi fa dolore quando sento qualche omosessuale prendere le distanze dal mondo delle paillettes o del mondo del travestitismo. Non abbiamo bisogno di queste nuove discriminazioni.

da gay.it



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