00 06/10/2006 12:23
IN UN CINEMA di Parigi, affollato da un pubblico di lingua araba, ho visto il film che sta facendo scalpore in Egitto. Lì come al Cairo una scena genera imbarazzo in sala, si odono bisbigli, spettatori si aggiustano sulla sedia. "Palazzo Yacoubian" sdogana il tema dell'omosessualità. Gli attacchi che ne sono seguiti svelano la doppia ipocrisia del potere politico. Non è solo questione di arretratezza, c'è un secondo aspetto, di cui dirò alla fine. Il film, per cominciare. Tratto dal romanzo di Ala Al Aswany (edito in Italia da Feltrinelli) ne riproduce fedelmente le storie intrecciate in un decaduto edificio del centro.

Superfluo dire che il libro è, come quasi sempre accade, meglio. Ma la trasposizione cinematografica dà alla storia una superiore capacità d'impatto e le ha permesso, in un paese a bassa alfabetizzazione, di arrivare a un pubblico molto più ampio. Scioccandolo. In una chiacchierata precedente la pubblicazione della traduzione italiana Ala Al Aswany, che di professione fa il dentista, mi confidò nel suo ambulatorio lo stupore per il fatto che il romanzo avesse superato i controlli della censura. "Hanno fatto come i computer - ipotizzava - cercavano le parole chiave. Non trovandole hanno detto: visto si stampi". Poi, si è fatto tardi: "Palazzo Yacoubian" è diventato il principale best seller arabo dopo il Corano. Proprio per questo pensavo che avrebbero impedito al film di esserne la copia. Invece, di nuovo, se ne sono accorti tardi.


Adesso 112 parlamentari ne chiedono il ritiro dalle sale. Durante un collegamento radiofonico un ascoltatore ha detto all'attore Khaled El Sawy: "Se la vedo per strada, la meno a sangue". Che parte fa El Sawy? Quella che provoca i bisbigli e gli aggiustamenti in poltrona. E' Hatim Rasheed, un giornalista che dirige un settimanale in lingua francese. Omosessuale. Una sera, uscendo dalla redazione, vede un giovane soldato, Abd Rabo, gli si avvicina, gli parla, gli dà, in cambio di un'indicazione, una mancia eccessiva.